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Colloqui di lavoro, sì il colore della pelle è ancora discriminante

Colloqui di lavoro, sì il colore della pelle è ancora discriminante

Ricerche in Europa attestano di fatto il razzismo del fenotipo non bianco

30 aprile 2023, 18:00

di Agnese Ferrara

ANSACheck

Tutti i colori della pelle foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Tutti i colori della pelle foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
Tutti i colori della pelle foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Di che colore è la tua pelle? Nonostante gli europei siano oggi una mescolanza di etnie e paesi di origine, la tonalità della superficie cutanea incide nella ricerca del lavoro e i cittadini dell’Unione sono a rischio concreto di subire discriminazioni razziali basate sull'aspetto. Questa la conclusione di una indagine, unica nel suo genere, condotta da alcune università europee in tre paesi: Belgio, Spagna e Germania. A questo studio segue una ricerca italiana mirata ad indagare come chi, non avendo la pelle 'bianca', si è sentito discriminato nella ricerca di un impiego, di chi vi ha rinunciato a priori perché percepisce un ambiente oppositivo dovuto alla sua origine oltre alla presenza oggettiva di elementi discriminatori anche a livello dei nostri concorsi pubblici. 

Chi ha un ‘fenotipo’ non bianco viene discriminato fin nelle primissime fasi della selezione lavorativa, ovvero durante la lettura dei curriculum vitae dotati di fotografia e ricevuti per via elettronica.  La percezione soggettiva di chi vaglia i CV danneggia il metodo di selezione che non punta a scegliere il soggetto più idoneo a quel ruolo professionale ma chi è 'affine' ai pregiudizi del datore di lavoro.  "Gli individui nati da genitori immigrati, perfino quando nati e residenti in Europa, affrontano sfide significative nel trovare un impiego" si legge nello studio europeo,  a cura delle università Carlos III di Madrid e di Amsterdam con il Centro di scienze sociali di Berlino e al Centro tedesco per la ricerca sull'integrazione e la migrazione, appena pubblicato su Socio-Economic Review . 

L’indagine fa luce sull'impatto significativo del fenotipo sulle prospettive di lavoro per le persone di origine immigrata in Europa. Condotta in Germania, Spagna e Paesi Bassi e rivela che avere un fenotipo nero o asiatico o nativo americano riduce la probabilità di interesse da parte del datore di lavoro di circa il 20% in media. Allo stesso modo, gli individui con un fenotipo caucasico dalla pelle scura, che si trovano comunemente in Nord Africa, affrontano una riduzione di circa il 10% nell'interesse medio del datore di lavoro rispetto a quelli con un fenotipo bianco. “Queste stime tengono conto dell'effetto isolato del fenotipo dalla regione di discendenza dei ricorrenti, - spiegano gli autori. – Tuttavia evidenziano che la discriminazione può essere esacerbata quando si combinano origine etnica e fenotipo”.

Lo studio è stato condotto analizzando le risposte di quasi 13.000 aziende europee a domande di lavoro simulate in tre paesi in cui allegare una fotografia ai CV è una pratica comune. I ricercatori hanno apportato modifiche ai nomi e alle fotografie sulle domande di lavoro fittizie mantenendo identiche tutte le altre caratteristiche del CV. Queste domande sono state quindi presentate a offerte di lavoro reali in varie occupazioni. Tutti i richiedenti fittizi erano giovani cittadini dei rispettivi paesi europei (con la nazionalità del paese in cui è stato condotto l'esperimento), nati da genitori provenienti da quattro grandi regioni del mondo (Europa-USA, Maghreb-Medio Oriente, America Latina-Caraibi , e Asia). L'ascendenza etnica era indicata nei CV principalmente attraverso i nomi dei ricorrenti. Le fotografie utilizzate nei CV sono state meticolosamente selezionate per garantire la comparabilità nell'attrattiva fisica, ma variavano in modo significativo nell'aspetto in rapporto al fenotipo e all’origine etnica.
Concludono gli autori: “Abbiamo trovato una forte evidenza che l'aspetto razziale dei richiedenti innesca un comportamento discriminatorio. Per dirla senza mezzi termini, molti discendenti immigrati in Europa sono discriminati perché hanno fenotipi visibilmente atipici, ovvero non bianchi. Con l'aumento del numero di candidati di seconda generazione che entrano nel mondo del lavoro, aumenta anche il numero di nuovi cittadini europei a rischio di subire discriminazioni razziali basate sull'aspetto”.
E l’Italia? Il colore della pelle è percepito tra gli elementi discriminatori per chi cerca un impiego e le disparità ci sono anche quando ci si confronta con i nostri enti pubblici.  Lo attesta un altro recente studio dal titolo ‘Law-Leverage the access to welfare’, condotto dal Centro studi sulle migrazioni nel mediterraneo Medì di Genova insieme all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.  L’indagine, condotta l’autunno scorso, si focalizza sulla discriminazione percepita, il vissuto e le testimonianze di 522 cittadini di origine straniera nel nostro Paese quando devono confrontarsi per strada, agli sportelli, in banca, al patronato, in centri di assistenza fiscale e nelle selezioni per l’impiego. “Lo sguardo diffidente e sminuente che sette intervistati su dieci dichiarano di sentire su di sé è la sottile linea di confine tra la prassi e una discriminazione giuridica e istituzionale vera e propria, - precisa Maurizio Ambrosini, docente al Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università di Milano e responsabile scientifico del Centro studi Medì di Genova.
L’indagine attesta anche la difficoltà quando si accede ai concorsi pubblici: 4 intervistati su 10 hanno dichiarato di non aver potuto accedere ad un concorso pubblico perché veniva richiesta la cittadinanza italiana, mentre 3 su 10 hanno dichiarato di non essere stati assunti perché l’azienda ha fatto intendere che non assumeva stranieri.  Sul tema dei concorsi , Ambrosini precisa: “Dal 2013, fatte salve le posizioni apicali, la legge ha abolito il requisito della cittadinanza per accedere a posti pubblici. Eppure molti bandi, in particolare a livello regionale, richiamano ancora quelle norme obsolete, come denunciano quasi quattro intervistati su dieci del nostro campione. Una parte delle discriminazioni è frutto della sciatteria e una parte è anche deliberata. Le prassi continuano a reiterare un requisito che non c’è più. Poi c’è una sorta di onda d’urto per cui le persone danno per scontato che a loro sia precluso quel tipo di lavoro. Questo dato di disparità percepita è evidente e questo significa che le istituzioni italiane non dedicano una cura sufficiente a dissipare l’ombra della discriminazione ”. Attesta lo studio che le discriminazioni percepite sembrano essere legate all’essere straniero (il 30% delle risposte), all’accento o al modo in cui si parla l’italiano (16%), al colore della pelle (13%), al Paese di origine (12%) e alle credenze religiose (8%). “Il fenotipo - si legge nella ricerca italiana - ha un peso significativo, esiste ancora una ‘linea del colore’ in base alla quale le persone sono maggiormente discriminate, come emerge dall’analisi dei Paesi di provenienza: la diffidenza riguarda in primis le persone di origine africana, in particolare quelle che provengono dall’Africa sub-sahariana. Ma anche quelle provenienti dai Balcani (in particolare i cittadini albanesi). Essere in Italia da anni, infine, con un buon livello di inserimento sociale e lavorativo non sembra mettere al riparo dalle discriminazioni. 

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