"Non c'è alternativa alla riduzione
del consumo di carne", perché passare a quella coltivata in
laboratorio è come "passare dalla padella alla brace". Lo
sostiene Slow Food Italia, che ha appena diffuso un documento
sulla propria posizione in merito, in cui affronta anche le
modalità della produzione industriale, le conseguenze del
consumo di carne e le modalità di allevamento e agricoltura
sostenibili.
Il no viene detto perché il cibo è cultura, oltre che
carburante per 'organismo, perché la produzione di carne in
laboratorio richiede grandi quantità di energia, oltre al fatto
che molti aspetti della produzione stessa sono sconosciuti, dal
momento che le aziende si nascondono dietro al segreto
industriale. I principali soggetti che puntano ai laboratori
sono inoltre gli stessi che dominano la filiera della carne, con
le stesse logiche di guadagno e monopolio.
"Soddisfare l'attuale domanda globale di carne - Barbara
Nappini, presidente di Slow Food Italia - ha richiesto uno
stravolgimento dei secolari metodi di allevamento, dando vita al
cosiddetto approccio industriale o intensivo. Un metodo che ha
sì assicurato carne (quasi) per tutti, ma a condizioni ingiuste,
inaccettabili e insostenibili. Secondo Slow Food, per frenare
questa deriva basterebbe ridurre il consumo di carne nei Paesi
del nord del mondo, dando concretezza alla auspicata transizione
proteica, piuttosto che promuovere la carne coltivata".
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