Uno spettacolo di bel ritmo,
malinconico e giocoso, felliniano nella sua dimensione onirica e
musicale, nella nota magica e spensierata della vita di
provincia questo Giardino dei Ciliegi di Cechov firmato, nello
stretto legame tra regia e scene, da Roberto Bacci coadiuvato da
un adattamento drammaturgico di Stefano Geraci e realizzato con
i giovani attori del Teatro di Toscana, che lo produce e si
replica alla Pergola sino al 28 maggio, dove la sera della prima
è stato molto applaudito.
Un Cechov particolare nato con quei giovani che ultimamente
direi, a giudicare dalle varie tante messinscene, ne hanno fatto
un autore quasi generazionale, nelle cui illusioni e amari
risvegli, nel vivere spensieratamente il presente e fantasticare
un futuro diverso e nello scontro con la realtà ritrovare una
nota esistenziale in cui riconoscersi. Bacci comunque ha dato
una unità di luogo e, sebbene si parli di stagioni che cambiano,
direi anche una intrinseca unità di tempo che appiattisce un po'
quel poetico, forte sentimento del fluire dei giorni che è
proprio di Cechov e che è forse la condanna di questa
generazione che sembra non avere un futuro.
Siamo in uno spazio appunto senza tempo, che Bacci ha ideato
tutto completamente imbiancato come da neve e/o petali di fiori
di ciliegio, uno spazio soffice, dove si ammorbidiscono anche
dolori e spigolosità dei personaggi e la vendita all'asta per
debiti dello storico e famigliare giardino dei ciliegi è vissuta
quasi come un sogno, nonostante Lopachin, figlio di un ex servo
che si è arricchito adattandosi ai tempi e con una bella dose di
pragmatismo, cerchi di far capire che è solo tagliando i ciliegi
per lottizzare il terreno per casette di villeggianti che si
potranno pagare i debiti e salvare la villa. Ma lui e le sue
idee, in questo mondo di aristocrazia che non ha alcun senso del
denaro, appaiono troppo materiali, volgari come le vacanze della
nuova borghesia, per chi vive la vita come una vacanza.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA