"Si dice che una nazione senza
memoria non possa avere un presente e soprattutto un futuro. Se
è così, l'esperienza umana di Lorenzo Necci rappresenta la
migliore testimonianza di questa verità". Lo afferma la
scrittrice e biografa Alessandra Necci, in occasione del
diciassettesimo anniversario della scomparsa del padre, Lorenzo
Necci, manager pubblico che guidò le ferrovie italiane a cui si
deve il progetto dell'alta velocità.
"Credeva nella memoria storica, era convinto che non fosse
possibile costruire qualcosa (infrastrutture, reti materiali e
immateriali, cultura nel senso più generale ed eclettico del
termine) senza cercare nel passato le ragioni di un'identità, di
un sentire comune. Si sentiva profondamente italiano, orgoglioso
delle sue radici familiari in una cittadina del Lazio, Fiuggi; e
al tempo stesso sapeva proiettarsi nel mondo, nell'Occidente
liberal-democratico da cui aveva ricavato il senso etico e
l'ispirazione politica". I giornali, prosegue, "lo chiamavano
'Lorenzo il Magnifico', e non c'era ironia in quell'appellativo:
c'era semmai l'omaggio - forse inconsapevole - a un uomo che
riuniva in sé, nell'epoca moderna, un retaggio rinascimentale".
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