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Fine vita, la scelta che divide

Fine vita, la scelta che divide

I disegni di legge in Senato potrebbero mettere nuovi paletti al suicidio assistito e al biotestamento. Intanto le regioni iniziano ad andare per conto proprio


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Dal caso di Piergiorgio Welby a quello di Sibilla Barbieri la questione del fine vita continua ad alimentare accesi dibattiti tra chi difende la libertà di scelta fino alla fine e chi ritiene che la vita sia un dono che nessuno può togliere. In 18 anni molto è cambiato dal punto di vista giuridico e anche nell'opinione pubblica, tanto che 7 italiani su 10 si dicono favorevoli all'eutanasia

di Livia Parisi


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Dal dibattito nato con il caso Englaro è scaturita la legge del 2017 sul biotestamento, che permette di lasciare indicazioni sulle proprie volontà sulle cure a cui venire sottoposti in futuro, qualora non si fosse più in grado di scegliere. Con il caso Dj Fabo la Corte Costituzionale, nel 2019, ha aperto la strada al suicidio assistito. A 5 anni dalla sentenza ancora non c'è una legge nazionale sul fine vita ma è iniziato in Parlamento un nuovo tentativo di legiferare, che però procede a rilento. Tutto questo è andato di pari passo con dei cambiamenti culturali: secondo il Rapporto annuale del Censis, nel 2023, il 74% dei cittadini in Italia si dichiarava favorevole all’eutanasia. E cresce il numero di chi cerca informazioni.

"Su se stesso, sul suo corpo e la sua mente l'individuo è sovrano", scriveva nel 1859 il filosofo inglese John Stuart Mill. In molti però non la pensano così, per fede religiosa e non solo. Come i medici cattolici che puntano l'attenzione sulla mancanza di presa in carico dei pazienti incurabili. O come l'associazione Pro Vita & Famiglia, secondo cui, a rimetterci saranno i più fragili. 

Nel frattempo, come per tutti i fenomeni sociali, ne ha parlato anche il cinema, con film come la Bella Addormentata di Marco Bellocchio, che racconta la storia di Eluana Englaro, "Million Dollar Baby", che valse a Clint Eastwood l'Oscar nel 2005, ma anche commedie come "È andato tutto bene" di Francois Ozon.                                 

La ricerca di informazioni, 14.000 chiamate in un anno

Libera (di Emilio Vitelli)
Libera (di Emilio Vitelli) - RIPRODUZIONE RISERVATA

C'è chi chiama perché è in condizioni gravi e chi lo fa perché potrebbe trovarcisi in futuro, chi lo fa per se stesso e chi per altri. Per avere informazioni su temi come interruzione delle terapie e morte volontaria assistita, sono state 13.977 le persone che negli ultimi 12 mesi hanno chiamato il Numero Bianco sui diritti nel fine vita. “Di queste – spiega Matteo Mainardi, membro del consiglio dell’associazione Luca Coscioni - 2.470 hanno esplicitamente richiesto informazioni su eutanasia e suicidio medicalmente assistito (+17% rispetto all’anno precedente) e 782 informazioni rispetto alla sedazione palliativa profonda (+35,5%). A 1.937 persone siamo riusciti a proporre e trovare delle alternative con il ricorso alle cure palliative". 

Oggi, un malato terminale gravemente sofferente che vuole metter fine alla sua vita, può iniziare una sedazione palliativa profonda, ovvero un trattamento farmacologico che porta all'annullamento della coscienza, in attesa che arrivi la morte. Se invece sceglie il suicidio assistito, gli ostacoli che può incontrare riguardano la burocrazia e i tempi. In assenza di una legge nazionale, in Italia questa scelta è normata dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato\Antoniani, che ha legalizzato l’accesso alla procedura, ma solo a precise condizioni. Tra queste non rientrano quelle di cui soffre Laura Santi, giornalista perugina di 49 anni: la sclerosi multipla progressiva di cui soffre da 27 anni è una condizione irreversibile, che le provoca spasmi e l’ha privata di ogni autonomia. Dal 2017 non cammina più, come racconta nella sua rubrica su Vanity Fair, e dal 2022 ha iniziato una battaglia contro la sua Asl per vedersi riconosciuto il diritto al suicidio assistito. Che per ora le è stato negato.

Intanto, per far sì che i pazienti abbiano tempi certi e rapidi di risposta, le regioni iniziano a fare per conto proprio. Ecco perché siamo arrivati al caso del Governo che impugna davanti al Tar il regolamento dell’Emilia-Romagna. Quale è quindi il problema che spinge ancora alcuni a cercare la morte in Svizzera? E perché le domande per lasciare il Biotestamento sono così poche?

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Chiarezza sui termini

glossario Chiarezza sui termini

I medici cattolici: "Drammatica carenza di assistenza"

Campagna di Pro Vita Onlus contro l'eutanasia
Campagna di Pro Vita Onlus contro l 'eutanasia - RIPRODUZIONE RISERVATA

"C'è una drammatica mancanza di assistenza a domicilio nel fine vita. Le persone spesso si trovano ad affrontare questo momento in stato di grande solitudine e l'alleanza medico-paziente è sempre più rara". A denunciarlo è il presidente nazionale dell'Associazione dei Medici Cattolici Italiani (Amci), Filippo Maria Boscia. Specializzato in ginecologia, con 55 anni di esperienza, all'Eutanasia contrappone "la eubiosia, ovvero una vita serena, nel rispetto della dignità del malato terminale. Perché - spiega all’ANSA - l'isolamento, il sentirsi un peso per gli altri, sono i fattori più importanti che portano a volerla far finita: la sfida è una vera presa in carico del malato che si trova in queste condizioni".  

Un medico, in sostanza, non abbandona il paziente ma non fa accanimento. “Quando è il momento deve anche 'lasciar morire', ma questo – spiega - è diverso dal far morire. Il difficile equilibrio tra queste due strade si trova nella proporzionalità delle cure ed è a volte difficile capire dove sta questo limite, che deve essere affidato alla coscienza e responsabilità dei medici".

Non si può invece chiedere al medico il dovere di aiutare qualcuno a morire perché “se ne snatura la figura e va anche contro quanto espressamente previsto nel Giuramento di Ippocrate: il medico è chiamato a curare e prendersi cura, anche quando per il paziente non ci sono speranze. Odio la definizione di ‘paziente terminale’. Mio padre a 82 anni, con diagnosi di neoplasia metastatizzata, fu congedato da un illustre collega che mi disse: portalo a casa perché non c'è più nulla da fare. Mio papà – racconta - è vissuto 14 anni dopo questa aspra sentenza", precisa Boscia. Proprio quando non c’è più nulla da fare è lì che inizia il vero accompagnamento, “è lì che percorsi di eubiosia devono contrastare l’eutanasia”.

Fra medico e paziente deve stabilirsi un'alleanza, che oggi è svanita. "I servizi di assistenza domiciliare di supporto non sono universalmente presenti – continua Filippo Boscia - così chi sta percorrendo le sue ultime miglia non ha cure adeguate. E non alludo solo alle cure palliative per il dolore, ma alla presa in carico, al dialogo, al prendere per mano per aiutare a oltrepassare il confine con serenità". E alla domanda se ha mai avuto qualche paziente che gli aveva chiesto come farla finita, il presidente dei medici cattolici risponde: "Certo! Ma ho sempre cercato di offrire ascolto e ho affrontato soprattutto la sofferenza morale. Nella nostra società ci siamo molto dedicati a curare sintomi e organi, ma poco o nulla abbiamo fatto per la cura integrale della persona, per la sofferenza mentale e per adeguate reti di supporto. Di conseguenza c'è il rischio anche che possano essere esercitate pressioni sul paziente in stato di fragilità da parte di familiari schiacciati da problemi come i costi e gli impegni lavorativi".

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Da Eluana alla legge sul biotestamento

IL BIOTESTAMENTO HA 6 ANNI, CONOSCIUTO DA 5 ITALIANI SU 1000
IL BIOTESTAMENTO HA 6 ANNI, CONOSCIUTO DA 5 ITALIANI SU 1000 - RIPRODUZIONE RISERVATA

Era il 18 novembre del 1992 quando Eluana, al ritorno da una festa, perde il controllo dell'auto di cui era alla guida. Aveva 21 anni e l'incidente la riduce in coma irreversibile. Il padre Beppino Englaro, convinto che la figlia non avrebbe voluto vivere in questo stato, presenta la richiesta di sospensione dell’alimentazione artificiale per la figlia, che viene respinta. Quasi 17 anni più tardi, dopo la mobilitazione e i presidi organizzati da Marco Pannella e i Radicali, il 9 febbraio 2009, ad Eluana vengono sospese alimentazione e idratazione, e lei viene liberata dallo “stato vegetativo permanente”. 

 Nel 2013 i Radicali italiani e l'associazione Luca Coscioni hanno raccolto 130mila firme (ora arrivate a oltre 1,2 milioni) per una proposta di Legge di iniziativa Popolare per la legalizzazione dell'eutanasia. Le firme sono state depositate presso la Camera dei deputati sono trascorse due legislature e quella proposta di legge non è stata mai trattata. Nel 2017, però, è stata introdotta la legge sul testamento biologico, che permette di lasciare scritte le proprie volontà rispetto ai trattamenti a cui in futuro potrebbe esser sottoposto in caso di grave malattia. Una possibilità però ancora poco conosciuta anche per la mancanza di informazione istituzionale in materia: tanto che nel 2023, a 5 anni dalla legge, era stato depositato solo dallo 0,4% degli italiani. Di qui la recente mobilitazione in oltre 100 città.

Inoltre, il biotestamento non risolve il problema di chi soffre ora e non può procedere con il suicidio assistito perché non ha il requisito del sostegno vitale. Chi può permetterselo va in Svizzera per ottenerlo ma l'iter è complesso e richiede in genere un aiuto, sia materiale che legale. Per questo Mina Welby, Marco Cappato e Gustavo Fraticelli, nel 2015, fondarono l'associazione Soccorso Civile, dichiarando l'intenzione a contribuire con atti di disobbedienza civile a che le scelte di tutti i malati potessero essere rispettate.

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Mina e Piergiorgio, amore oltre la morte

Mina Welby al corteo per l'Eutanasia
Mina Welby al corteo per l 'Eutanasia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Suora francescana per 20 anni, origini altoatesine, accento tedesco. Mina conobbe Piergiorgio al Sert dove lei prestava servizio, si sposarono nel 1978 a Roma, nella parrocchia di Garbatella. Oggi ha 87 anni, un sorriso accogliente e continua a fare quello che le è sempre venuto bene: aiutare gli altri. Era il 2006 quando Piergiorgio Welby, giornalista e attivista affetto da distrofia muscolare - malattia che causa l'atrofia progressiva della muscolatura scheletrica – tracheostomizzato e attaccato a un respiratore, scrisse una lettera al Presidente della Repubblica, chiedendo di poter morire. Giorgio Napolitano rispose che era un tema che deve essere affrontato con una legge: siamo nel 2024 e ancora non c'è. Nello stesso anno, dopo 88 giorni, dopo aver ricevuto il diniego del tribunale di Roma, veglie organizzate in 50 città e un acceso dibattito pubblico, Piergiorgio venne sedato e staccato dal respiratore, sulle note di Bob Dylan con l’aiuto dell’anestesista Mario Riccio che eseguì la volontà del paziente  subì per questo un processo, conclusosi nel 2008 con un'assoluzione.

Piergiorgio Welby

Le ultime parole che Mina ha detto al marito: "scusa se ti ho tenuto con me più di quanto tu avessi voluto". Piergiorgio le risponde chiedendole di portare avanti il suo blog. Lei in realtà ha fatto molto di più in questi anni: come copresidente dell'associazione Luca Coscioni ha partecipato a banchetti, fiaccolate e raccolte firme per la legge di iniziativa popolare fino all’accompagnamento in Svizzera.

Tra i fondatori dell'associazione Soccorso civile, nel 2017 ha accompagnato Davide Trentini a Zurigo, aiutandolo nel disbrigo di procedure burocratiche. “Davide – spiega Mina - era malato di sclerosi multipla dal 1993. Aveva 53 anni e la sua vita era diventata un calvario, era pieno di dolori ovunque. Per questo ha chiesto di accedere alla morte volontaria in Svizzera, siamo partiti insieme ad aprile 2017, fu un viaggio di 5 ore ma drammatico, in cui dovemmo fermarci 7 volte per i disagi che gli provocava. Poco prima che il farmaco letale venisse iniettato Davide mi disse: vado in vacanza. Io gli feci un ultimo sorriso”.

Mina Welby e Davide Trentini

Al ritorno, insieme a Marco Cappato Mina si è autodenunciata alla Procura di Massa. Nel 2021 sono stati assolti dalla Corte d’Assise di appello di Genova perché, a seguito della decisione della Consulta sul caso Cappato/Fabo, l'aiuto fornito non configurava reato.

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"Davide mi disse: vado in vacanza. Gli feci un ultimo sorriso"

"Davide mi disse: vado in vacanza. Gli feci un ultimo sorriso"

Il caso dj Fabo e la sentenza Cappato

Fabio Cappato alla manifestazione per l'eutanasia legale
Fabio Cappato alla manifestazione per l 'eutanasia legale - RIPRODUZIONE RISERVATA

La prima richiesta di aiuto al suicidio che è arrivata è stata quello di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, un ragazzo che, come tanti, nel ritornare una sera a casa, ha un incidente e si risveglia cieco, tetraplegico, con una vita completamente cambiata. "Ha fatto di tutto per curarsi, ha provato tutte le terapie possibili. Poi a sua madre e alla sua fidanzata comunica che per lui quella non era vita. Chiede di poter accedere all’eutanasia in Svizzera, ma per raggiungere la Svizzera aveva bisogno di un aiuto", spiega Filomena Gallo, avvocata cassazionista e segretaria dell'associazione Luca Coscioni.

Marco Cappato e Fabiano Antoniani

Marco Cappato, pur sapendo che nel nostro Paese l'aiuto al suicidio è un reato previsto dal Codice penale e per il quale si rischiano fino a 12 anni di carcere, ha aiutato Fabiano ad arrivarci e poi si è autodenunciato. "In quel caso la Corte d'Assise di Milano ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale dell'articolo 580 del Codice penale (che avrebbe visto la condanna di Cappato) perché quell'articolo non garantisce ai cittadini la libertà individuale e di scelta. I giudici della Corte costituzionale sono intervenuti con una sentenza che ha dichiarato incostituzionale una parte dell'articolo e ha dato anche le indicazioni affinché l’aiuto al suicidio non sia considerato reato nel nostro ordinamento".

Il caso Cappato/Fabo in Corte costituzionale

La persona che chiede di essere aiutata a morire deve formulare una richiesta a Servizio Sanitario Nazionale, questo invierà una commissione di verifica per accertarsi che siano presenti tutte e quattro le condizioni necessarie a che l’aiuto al suicidio non costituisca un reato. "Ovvero - precisa l'avvocata - il paziente deve essere pienamente capace di autodeterminarsi; deve essere affetto da una patologia da cui non è possibile guarire e che determina una sofferenza che lui avverte come intollerabile; e deve esser dipendente da un sostegno vitale. Solo se si verificano tutte e quattro queste condizioni si può accedere al suicidio medicalmente assistito. Questo fa sì che alcuni optino per la via più breve (e costosa), ovvero un viaggio per ottenere la morte in Svizzera.

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I casi di suicidio assistito ottenuti in Italia

i suicidi assistiti in italia I casi di suicidio assistito ottenuti in Italia

"Ma la vita va difesa, anche quando c'è sofferenza"

Campagna di Pro Vita Onlus contro l'eutanasia
Campagna di Pro Vita Onlus contro l 'eutanasia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Come spiegato anche da Papa Francesco: "la morte va accolta, non somministrata". Questa è anche la posizione di Pro Vita & Famiglia onlus. "La vita va difesa anche quando c'è sofferenza e oggi abbiamo cure palliative che permettono di togliere il dolore. Negli ultimi anni abbiamo visto invece un susseguirsi di colpi di mano che hanno indebolito il senso del dono della vita". A spiegarlo è Francesca Romana Polelli, membro del consiglio direttivo di Pro Vita & Famiglia, che si è distinta per campagne di sensibilizzazione contro l'eutanasia che hanno fatto molto rumore. "C’è il rischio, se si continua su questa strada, - aggiunge - di arrivare a una deriva in cui si tende a eliminare il debole, il fragile, quello che può rappresentare un peso per una società che vuole tutto perfetto e performante. Come si è visto nel caso di Terry Schiavo, che divise gli Stati Uniti".

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Pro Vita: "I più fragili rischiano di diventare vittime"

Pro Vita: "I più fragili rischiano di diventare vittime"

A giugno nuova sentenza della Consulta

Manifesto sull'eutanasia dell'associazione Luca Coscioni
Manifesto sull 'eutanasia dell 'associazione Luca Coscioni - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

C'è già però un altro caso su cui a giugno la Corte costituzionale sarà chiamata a esprimersi: quello di Massimiliano e di quei malati che, come lui, presentano tutti i requisiti per accedere al suicidio assistito in casa propria ma non dipendono da trattamenti di sostegno vitale. Se la storica sentenza della Consulta sul caso Cappato/Antoniani, attualmente norma il tema della morte volontaria assistita in Italia, la disobbedienza civile continua e la Corte costituzionale è chiamata a esprimersi nuovamente sulla costituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale nella versione vigente a seguito della decisione del 2019.

I Giudici della Consulta stavolta sono stati chiamati in causa da Tribunale di Firenze in merito al caso di Massimiliano, 44enne toscano di San Vincenzo (Livorno) affetto da sclerosi multipla, accompagnato in Svizzera per poter ricorrere al suicidio medicalmente assistito nel 2022 da Felicetta Maltese e Chiara Lalli. "La Consulta stavolta dovrà valutare se il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale previsto come condizione per l'aiuto al suicidio sanitario assistito e non è previsto in nessuna norma straniera sul fine vita, non sia un requisito discriminatorio", spiega Filomena Gallo, avvocata cassazionista che coordina la difesa.

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Filomena Gallo: "Nuovi disegni di legge, nuovi processi"

Filomena Gallo: "Nuovi disegni di legge, nuovi processi"

Una morte in esilio per Sibilla Barbieri

Sibilla Barbieri
Sibilla Barbieri - RIPRODUZIONE RISERVATA

Le decisioni che la Consulta prenderà influenzeranno anche il futuro di Vittorio Parpaglioni, che ha 25 anni e che oggi rischia fino a 12 anni di carcere per aver accompagnato la madre in Svizzera. Nelle pieghe della sentenza è rimasta infatti incastrata sua madre, Sibilla Barbieri, regista e attrice romana di 58 anni, volto noto della tv, malata terminale oncologica.

"Io e mia madre - racconta - siamo partiti a ottobre per andare in Svizzera: lei era una malata oncologica ormai con nessuna speranza di vita, assumeva morfina ma questo non bastava ad alleviare il suo dolore. Tre mesi prima aveva chiesto il suicidio assistito, ma a causa della decisione della ASL Roma 1, le era stata negata la possibilità di morire a casa sua perché non dipendeva da trattamenti di sostegno vitale. Quindi siamo dovuti partire per Zurigo. Io ho scelto di accompagnarla in questo viaggio". 

Un viaggio in aereo e pullman di cinque ore, che, spiega, è stato estremamente faticoso per Sibilla, malata terminale che nel frattempo aveva dovuto far ricorso anche all'ossigeno. "Era in condizioni in cui una persona normale avrebbe fatto anche fatica solo ad alzarsi dal letto, negli ultimi giorni non riusciva più a parlare. Quel viaggio è stato un dolore aggiuntivo rispetto alla morte stessa. È stato un esilio forzato. Non era giusto che lo facesse", racconta con voce commossa ma ferma.

L'insegnamento più grande che Sibilla gli ha lasciato, dice, “è un grande coraggio di vedere la verità. Lei ha ammesso una delle cose più difficili: la propria morte. Questo non ha chiuso delle porte ma ha aiutato ad aprirne altre alle persone che le volevano bene e che lei lasciava, perché ci ha aiutato a capire cosa fare". Questo percorso ha fatto in modo tale che Vittorio e la sorella fossero in qualche modo preparati: "ci ha accompagnati verso il lutto per la sua dipartita, si può soffrire anche insieme alla persona che sta per andarsene e questo ci ha aiutato nell'affrontare la sua mancanza".

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Vittorio: "Rischio fino a 12 anni per aver aiutato mia madre"

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A 5 anni dalla sentenza, 5 disegni di legge in Senato

Senato
Senato - RIPRODUZIONE RISERVATA

La Corte costituzionale, con la sentenza sul caso Antoniani/Cappato, nell'individuare i requisiti per ottenere il suicidio assistito, ha ribadito la necessità che il Parlamento emani una legge completa in materia. Ma sono passati cinque anni da quella sentenza e questa ancora non c’è. Una proposta di legge, nella scorsa legislatura, era stata approvata a Montecitorio, ed è poi decaduta a seguito dello scioglimento delle Camere.

E' ripartito da questa Alfredo Bazoli, senatore Pd in Commissione Giustizia, che, forte della sottoscrizione di un terzo dei componenti, ha riproposto il testo a Palazzo Madama. Oltre al suo, sono ne sono stati presentati altri quattro disegni di legge: uno del dem Dario Parrini; uno della pentastellata Elisa Piro, uno di Avs a prima firma di Giuseppe De Cristofaro e uno da Adriano Paroli di Forza Italia, firmato anche dal capogruppo Maurizio Gasparri, al momento l'unico da parte della maggioranza. Quest’ultimo testo, che riprende la proposta di Paola Binetti della scorsa legislatura, prevede una pena attenuata nel caso di aiuto al suicidio da parte di conviventi, modifiche che limitano il ricorso al testamento biologico e l'obiezione di coscienza per il medico. 

Se per l'opposizione questo significa fare dei passi indietro al nostro ordinamento, Paroli obietta: "Il potere legislativo indica al Parlamento un vuoto da colmare, ma la potestà legislativa spetta a quest'ultimo. Su temi come questi la politica dovrebbe trovare il massimo della condivisione, cercando di contemperare i valori in gioco, ma nel rispetto della sensibilità delle forze politiche elette". D'altronde, il vuoto di legislativo sussiste dopo oltre un decennio di governi di centro-sinistra: "se ci fosse stato un parere netto, si sarebbe approvata la legge", osserva Paroli.

La discussione sul fine vita comunque è stata incardinata in Senato e il provvedimento ha come relatore Pierantonio Zanettin di Forza Italia per la Commissione Giustizia e Ignazio Zullo per la Commissione Affari sociali. "Per ascoltare le tante voci in materia - spiega Bazoli all'ANSA - è stato predisposto un ciclo di audizioni di esperti di diverse professionalità, da anestesisti a ex presidenti della Corte costituzionale e bioeticisti ma anche questa settimana il tema non è in agenda. Si procede a rilento come ho denunciato più volte in Commissione, mentre il testo dovrebbe, in base alla procedura parlamentare, avere una corsia privilegiata e arrivare in Aula entro tre mesi dalla presentazione".

“Auspichiamo si arrivi a un testo con il più ampio accordo possibile – spiega all’ANSA Zanettin - anche perché i tempi stringono e già a giugno ci sarà una nuova sentenza sul suicidio assistito da parte della Consulta, chiamata a esprimersi sul requisito della dipendenza da trattamenti. Non sarà facile, anche perché il tema, come in generale quelli bioetici, è trasversale agli schieramenti, ma è giusto che ci sia un confronto politico e che non sia tutto demandato ai giudici”.

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Obiezione di coscienza e pena attenuata, possibili paletti

suicidio medicalmente assistito
suicidio medicalmente assistito - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sul tema la Santa Sede è sempre stata ferma. “L'eutanasia è un crimine contro la vita". Sì, quindi, alle cure palliative, no all'aiuto al suicidio. Da qui muove il disegno di legge di Forza Italia presentato in senato da Adriano Paroli, che prevede alcuni paletti rispetto alla normativa vigente e alla proposta di legge che la scorsa legislatura era stata approvata alla Camera. "Non si poteva certo pensare che la maggioranza avesse rinunciato a fare proposte su un tema così delicato dal punto di vista etico e della sensibilità personale", spiega all'ANSA Paroli.

"La vita è un diritto e un valore a prescindere, mentre non è un diritto la morte. Per questo non condividiamo nessuna norma che autorizzi a togliere o togliersi la vita, altrimenti come vediamo all'estero, si arriva all'eutanasia dei bambini", precisa Paroli. "Comprendo che l'angoscia di ricevere una diagnosi che non dà scampo e che porta sofferenze faccia pensare che sia meglio farla finita. Il legislatore deve tutelare i pazienti ma anche i valori. E i il vero argomento è se possiamo decidere della vita nostra o di un altro. Noi crediamo di no. Dobbiamo accompagnare al meglio alla morte, ma non provocarla".

Per questo il ddl Paroli non prevede la depenalizzazione del reato di suicidio assistito (oggi punibile, al di fuori dei casi previsti dalla sentenza Cappato, con pene da 5 a 12 anni di carcere) ma contempla una riduzione della pena stessa, prevedendo una reclusione da sei mesi a due anni se chi fornisce l'aiuto convive stabilmente con il malato e si trova in stato di "grave turbamento determinato dalla sofferenza altrui". "Di fatto – argomenta il senatore Paroli - è una pena molto lieve, gestita senza carcere. Ma, per quanto simbolica, ci deve essere perché sancisce il fatto che nessuno ha diritto a provocare la morte di un'altra persona, anche se è in fin di vita o soffre".

Diverso è decidere di tenere in vita una persona a tutti i costi: in questo caso sono i medici che, con buon senso, dicono quando è il caso di evitare un accanimento terapeutico. "Ma da qui a somministrare un farmaco letale è diverso. Anche perché - prosegue - non sappiamo in quali contesti familiari maturano determinate scelte. Laddove c'è il suicidio assistito il malato diventa un algoritmo: quanto costa tenerlo in vita, quanti anni ha, quanta speranza di vita. Farlo morire rischia di essere una scorciatoia. Per questo, comprendiamo e prevediamo un'attenuante, ma non possiamo dire che si possa fare".

A scatenare malumori è il fatto che il ddl introduce nuovi paletti anche a quanto previsto dalla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento o Biotestamento. In particolare, prevede che l’idratazione e l’alimentazione, pur se garantite attraverso ausili tecnici, "non sono considerati trattamenti sanitari", quindi non si può scegliere se interromperli (come è oggi previsto e come fu nel caso Englaro dopo 17 anni in stato vegetativo). "Viene meno la buona fede se si dice che la nutrizione è trattamento sanitario: l'idea che la morte di Eluana sia arrivata dopo 5 giorni di mancata nutrizione la trovo atroce", commenta Paroli.

Altra contestata novità inoltre riguarderebbe la possibilità dell'obiezione di coscienza per i medici chiamati dalla propria azienda sanitaria a fornire assistenza al suicidio: "nessun medico, figura chiamata a cercar di salvare vite, deve trovarsi obbligato a contribuire a toglierla", conclude Paroli. D'altronde era di questo avviso anche il parere del Comitato Nazionale di Bioetica pubblicato nel 2019.

Mentre su una cosa i senatori di diversi orientamenti potranno convergere: la necessità di potenziare e rendere effettivo il ricorso alle cure palliative, ancora disomogeneo nel Paese.

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Il nodo dei tempi: ogni regione va da sè

Mina Welby nella sede dell'associazione Coscioni
Mina Welby nella sede dell 'associazione Coscioni - RIPRODUZIONE RISERVATA

"Oltre a introdurre nuove restrizioni, in parte sono di segno contrario alla sentenza della Corte Costituzionale, nessun disegno di legge oggi incardinato a Palazzo Madama prevede tempi certi e idonei di risposta alla persona malata", sottolinea Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni.

Le persone che fanno richiesta per ottenere il suicidio medicalmente assistito, infatti, rimangono in attesa di ASL e Comitati Etici territoriali che, per svolgere la verifica delle condizioni, hanno impiegato mesi, a volte fino a due anni.  "Ogni regione agisce in modo diverso. Un tempo che molti pazienti non hanno. Non deve più essere consentito di far attendere fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano con il rischio di perdere le ultime forze necessarie per l’autosomministrazione del farmaco letale”, dichiara Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. 

Brochure eutanasia

Di qui la campagna regionale “Liberi subito”, cioè, spiega il coordinatore Matteo Mainardi,  "una raccolta firme per presentare proposte 
di legge regionali
affinché ci sia un modo uniforme di procedere in tutte le regioni e tempi di attesa che non devono superare i 20 giorni. Grazie alle firme raccolte la proposta è stata già depositata in 15 Regioni. Ha fatto rumore il caso del Veneto, dove la legge, pur appoggiata dal governatore Luca Zaia, ha visto la spaccatura della maggioranza e non è passata per un voto: Fratelli d'Italia e Forza Italia, grazie anche ad una defezione nel Pd, hanno fatto valere il loro veto.

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Una proposta di legge in 15 regioni

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