Le aree marine protette non solo, se
ben gestite e con opportuna sorveglianza, hanno effetti positivi
sulla fauna marina eliminando o riducendo gli effetti diretti
della pesca ma sono anche in grado di mitigare l'impatto delle
ondate di calore. E' quanto dimostrato da uno studio coordinato
dall'Università di Pisa e pubblicato su Nature Communications.
La ricerca ha riguardato 2269 specie di pesci costieri che
vivono in 357 siti interni alle aree marine protette e in 747
siti esterni. I dati provengono da oltre 70mila osservazioni
ottenute su intervalli temporali che vanno da un minimo di 5 a
un massimo di 28 anni. Le aree marine protette studiate sono nel
Mediterraneo, soprattutto in prossimità delle coste spagnole,
in Australia, California e Indopacifico.
"Le proiezioni - spiega Lisandro Benedetti Cecchi, primo
autore dell'articolo - suggeriscono che i cambiamenti nel clima
oceanico, di cui le ondate di calore sono espressione, si
acutizzeranno nei prossimi decenni e che gli attuali tassi di
riscaldamento supereranno presto il margine di sicurezza termica
di molte specie. Maggiore è l'allarme per il Mediterraneo, che
si sta riscaldando a un ritmo di tre volte quello dell'oceano
globale". A subire le conseguenze delle ondate di calore, si
evidenzia, "è la stabilità dell'intero ecosistema e delle
popolazioni, con i pesci erbivori che tendono ad aumentare e i
carnivori, come squali, barracuda, cernie o dentici, che invece
sono più minacciati. Il risultato può essere il collasso
dell'intero sistema sino all'estinzione locale di alcune specie.
Questi effetti sono però molto mitigati dalle aree marine
protette" dove "le popolazioni di pesci sono più abbondanti e
funzionalmente strutturate rispetto alle aree non protette,
conferendo stabilità alle comunità anche in presenza di eventi
climatici estremi".
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