Sui social succede "un pò come
nella vita fisica, si va per tentativi ed errori. Si impara col
tempo a capire cosa ci fa stare bene, scegliendo con attenzione
chi frequentare, ed evitare cosa può essere causa di malessere,
anche molto profondo". È' la riflessione che Arianna Ciccone,
organizzatrice del Festival del giornalismo di Perugia, fa con
l'ANSA dopo i casi che hanno coinvolto i social negli ultimi
tempi da Chiara Ferragni a Giovanna Pedretti. "Con i social
siamo ancora tutti alle prime armi, abbiamo ancora molto da
imparare" afferma.
Secondo Arianna Ciccone quello che accomuna i casi Ferragni
e Pedretti "è la reazione delle persone sui social, che
partecipano alla discussione su questi casi e ne discutono anche
con toni piuttosto virulenti". "Direi - aggiunge - che alla base
di tutto ci sarebbe da riflettere su come abitiamo i social,
strumenti potentissimi nel bene e nel male. Cosa significa per
le nostre vite la dimensione digitale. Con quale consapevolezza
agiamo, reagiamo, interagiamo. Certo potremmo porci le stesse
domande per quanto riguarda la nostra vita fuori dai social…"
Riguardo a come una presunta recensione negativa per un
locale possa diventare una notizia di primo piano, secondo
l'organizzatrice del festival di Perugia è necessario "partire
dalla mancata riflessione sul criterio di notiziabilità, prima
ancora che sul mancato processo di verifica". "Da anni -
sostiene - l'ecosistema mediatico italiano soffre una serie di
lacune che inevitabilmente hanno fatto crollare il tasso di
fiducia da parte del pubblico. La riflessione che servirebbe è
molto profonda, ad ampio raggio, sistemica. Non sono molto
ottimista su questo".
Sempre in merito alla vicenda della ristoratrice trovata
morta (per la quale si è ipotizzato un suicidio), Ciccone ha
sottolineato che "quasi mai sono rispettate le linee guida e le
raccomandazioni di organizzazioni mondiali che si occupano di
salute e di media". "Il rispetto verso le famiglie travolte da
queste tragedie, il rischio di provocare emulazioni - aggiunge
-, sembrano non essere una parte fondamentale del lavoro
giornalistico in casi come questi".
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