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Weill, c'è Mendelssohn da buttar giù

Weill, c'è Mendelssohn da buttar giù

grande racconto tragicomico su grottesco di persecuzione nazista

ROMA, 26 febbraio 2024

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Paolo Petroni) JIRI WEIL, ''SUL TETTO C'E' MENDELSSOHN'' (EINAUDI, pp. 300 - 20,00 euro - Traduzione di Giuseppe Dierna) - La letteratura Ceca, col suo spirito impegnato e irridente, drammatica ma col sorriso sotto i baffi giocando su un realismo che ha un labile confine col fantastico, così da aprirvi fessure e porre interrogativi non contingenti, ci riserva con questo romanzo spaventosamente umoristico sull'occupazione nazista di Praga e il nonsenso della vita, pubblicato postumo, un anno dopo la morte dell'autore Jiri Weil (1900 - 1959), una nuova sorpresa, grazie a un ricercatore, studioso e traduttore di quella cultura come Giuseppe Dierna.
    Reinhard Heydrich, SS vice Generalprotector della Boemia e musicofilo, scopre che sul tetto del Rudolfinum, il tempio della musica praghese, tra le varie statue di compositori svetta quella ''nauseabonda'', per un edificio dai nazisti consacrato all'arte tedesca, dell'ebreo Mendelssohn e ordina si faccia in modo che venga al più presto rimossa. L'assurda vis persecutoria è solo l'inizio di una vicenda sempre più tragicamente comica e grottesca, visto che le statue non hanno il nome sul piedistallo e l'incaricato di far eseguire l'operazione, Julius Schlesinger, aspirante SS, sa quindi solo invitare gli operai a trovare quella col naso più grosso, un naso ebraico, ma questa si rivela a sorpresa essere quella di Wagner. Così in un gioco di imbarazzi, di scarico di responsabilità e di minacce se l'ordine non verrà eseguito, si pensa di rivolgersi per l'identificazione tra l'altro a un colto ebreo, prelevato da dove vive segregato, che però si scopre come abbia sapienza solo dei libri sacri, finché si arriverà alla soluzione e la statua adagiata sul tetto, diverrà invisibile.
    Ma ad avere un ruolo nel romanzo c'è anche un'altra statua, di gesso e che rappresenta la Giustizia, arrivata al magazzino della Gestapo in cui si raccoglie tutto quanto sequestrato nelle case delle famiglie ebree avviate ai lager. Il responsabile del luogo, pur di liberarsene ''per scaramanzia'' come dice, in realtà perché la sua presenza dà fastidio, la rifila per due lire a un antiquario. Eppure questa riapparirà improvvidamente al magazzino, dopo un imprevedibile giro di acquisti, e allora sarà distrutta a martellate, così, sottolinea l'autore, ''la Giustizia non sarebbe stata più d'intralcio a nessuno''.
    Il racconto del resto, una ben costruita girandola di invenzioni narrative e senza un vero protagonista principale, è quello di un mondo che ha perso ogni ragione e tutto, anche il sopravvivere o morire è casuale, dipende da un qualsiasi fraintendimento o da un colpo di fortuna. Più si va avanti, più tutto si fa drammatico, il grottesco diventa tragedia, attraverso la persecuzione degli ebrei, le partenze dei convogli col loro carico, sino all'amore tedesco per l'arte che progetta la costruzione di un museo paradossale che testimoni, attraverso i suoi tesori, la storia e altezza della cultura ebraica che si sta distruggendo.
    ''All'epoca la morte ti scivolava accanto ovunque in una Praga ormai spettrale in cui ''quegli intrusi'' la morte la celebravano ovunque, ma si scopre anche che è possibile opporvisi e che ''ci sono molti modi per lottare, e il più sicuro è farlo con un arma in mano'', come faranno Jan Krulis e Rudolf Vorlitzer che, morendo lascerà due giovani nipotine pericolosamente nascoste in una casa amica. Tutte storie che si sviluppano e vanno a comporre la narrazione generale sullo sfondo storico, Si arriva sino alla fine, alla rovina del Reich con l'arrivo delle truppe sovietiche, e allora, dalle statue, dal ''deserto pietrificato'' cui l'uomo ha ridotto la terra, si passa alla natura con la sua imperturbabilità, a un bosco: ''Gli alberi crescevano vittoriosi e immortali. Loro fornivano ogni cosa, si mostravano utili, e quando poi erano costretti a morire, morivano in piedi. Non erano pietra morta, eretta a futura memoria per minacciare o ricordare, erano la vita che vince la morte''.
   

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